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Al confine dei mondi

Esiste un confine sottile, impalpabile, tra la percezione della realtà altrui e la nostra.

Sporadicamente lo attraversiamo come aria che cambia profumo e consistenza. In genere è costituito da assenze, sottrazioni, mancanza di qualcosa di superfluo che credevamo necessario.

Come un portale per un mondo alieno, quando lo attraversiamo ci ritroviamo catapultati in un altrove inconcepibile per noi, ma plausibile, addirittura imprescindibile per altri. E non è mai una questione di numeri, bensì di credenze. Ogni storia che ci è stata o ci siamo raccontati, ha contribuito a progettare e renderizzare il nostro personale mondo prossimale, quello che percepiamo con i cinque sensi “ufficiali”.

Nel nostro immaginario, i confini sono paralleli all’orizzonte, spesso invalicabili, a volte oscuri e minacciosi, e sempre esterni a noi. Invece ci sono molti più confini all’interno della nostra psiche, della nostra mente, della nostra anima di quanti possiamo concepirne. Tutti assolutamente verticali.

Quando parliamo di interiorità non la vediamo mai come un orizzonte, ma sempre come un meandro, un pozzo, una profondità da esplorare, stati d’animo da far affiorare, riportare a galla da un mondo verticale.

Ci sono poi altri sensi, Steiner diceva altri sette, che se ascoltati possono elevarci, farci salire di quota. È in questo caso che il confine tra i mondi si fa davvero labile, a questo punto e solo a questo siamo in grado di afferrare la realtà aliena e sorella che ci circonda. Tuttavia questo implica una scelta, un lasciarsi andare, un affidarsi a se stessi, alla saggezza dei propri ricordi atavici, un buttarsi nelle cose del mondo che sono ancora invisibili ai nostri radar.

Viaggiare nel mondo attrezzati solo della propria bussola interiore fa paura, perché non siamo più abituati all’altitudine e ci coglie la vertigine. La vertigine ci rende vulnerabili, ci sembra di volare e volare non è più o non è ancora cosa per uomini.

Quando si sale di quota, c’è un momento in cui percepiamo il nostro cuore e i nostri polmoni come se ne scoprissimo l’esistenza solo in quell’istante, il paesaggio che poco prima ci circondava nitido e tangibile, perde i contorni, si sfrangia ad ogni respiro. Quello è l’attimo in cui prendiamo la nostra decisione più vera, proseguire o desistere. Se proseguiamo, se riusciamo a superare il limite, e “rompiamo il fiato”, tutto torna in equilibrio, un equilibrio completamente nuovo. Diverso.

Attraversiamo il bosco, sempre in salita, oltrepassando le umide faggete e le conifere resinose, fino a quando le miniature di arbusti fioriti ci indicano che mancano solo trecento passi alla radura. Trecento passi verso il cielo che quassù cambia consistenza e colore senza posa. Trecento passi verso i confini di un mondo d’altri che credevamo perduto per sempre. Un mondo che pensavamo talmente impossibile da averlo relegato nelle favole, in qualche nostalgico documentario, o nella memoria dei vecchi.

Veniamo da lontano, e si vede, ma l’accoglienza è fraterna. La riconosco nello sguardo bicolore dei cani da pastore che fanno a gara per una carezza, nel filo di fumo che esce dal camino che arreda da solo la stanza delle magie, dove avviene la stessa trasformazione da secoli. Gli occhi languidi e curiosi delle manze che rientrano dal pascolo alto e indulgono all’ultimo ciuffo aromatico, annusano le nostre mani in cerca del salmastro.

Il casaro parla una lingua perduta, asciutta e essenziale fatta di silenzi e pochissime sillabe. Non è diffidente solo di un altro pianeta. Forse non vorrebbe che il suo facesse la fine che abbiamo fatto fare al nostro, oppure, semplicemente, sa che siamo talmente lontani che non coglieremo mai le infinite possibilità della sua esistenza. Con un gesto preciso manda i ragazzi e il bambino alla mungitura della sera, loro parlano la sua lingua eppure ne comprendiamo l’idioma, il saluto.

Mi guardo attorno, osservo le tracce di vita possibile distante mondi dal nostro. Penso che quando si sale di quota non si superino solo confini verticali ma in qualche modo si viaggi nel tempo.

Una volta ripercorsi i sentieri il portale si chiuderà. Dimenticheremo le coordinate che ci hanno permesso di raggiungere i silenzi siderali di quel pianeta appena esplorato.

Lo abbiamo appena sfiorato con la nostra coscienza, per lo più ci è incomprensibile, ineffabile come un sogno.

Tutta la natura sussurra i suoi segreti a noi attraverso i suoi suoni. I suoni che erano precedentemente incomprensibili alla nostra anima, ora si trasformano nella lingua espressiva della natura.” (Rudolf Steiner)