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Apoptosi

Viviamo in questo scampolo di esistenza come violinisti che suonano in equilibrio sul tetto del mondo.

Siamo recentemente diventati maestri nel gioco al ribasso, nel tentativo quasi sempre vano di trovare un po di pace nella nostra bolla esperienziale. Ci sovraccarichiamo di accessori. Li accalchiamo nel vaso della vita senza aver tenuto conto dello spazio a disposizione, o di quanto fosse già pieno di altri orpelli. Mentre le voragini che ci portiamo dentro, buchi neri nel plasma solare, restano incolmabili.

Nascondiamo, pezziamo, affastelliamo, trascuriamo e infine dimentichiamo persino l’esistenza di quei vuoti, pensando di averli colmati. E nel tentativo restiamo senza forze, esangui, sfrangiati, bucce vuote, scorze, tegumento rattrappito.

L’unico modo è andare avanti, senza sosta, sempre. Un sempiterno movimento senza il quale non c’è vivere, non esisterebbe alcun equilibrio senza l’imperituro correggersi di forze contrapposte in continua evoluzione, rivoluzione.

Puntare in alto ma non solo. Come il seme che sebbene sepolto da amenità, attorniato da asperità conosce la direzione del cielo al quale puntare, e quella della terra da cui attingere. Come in cielo così “in” terra, esso vive e si evolve secondo qualcosa di inscritto, di insito nel suo germe profondo. L’anima lascia fare allo spirito, si serve del corpo e si eleva. Tutto proteso verso l’alto e sempre ponendo attenzione al profondo.

Nessuna differenza tra gli alberi e la vita. Ci appaiono statici. Invidiamo il loro poter stare fermi, ignorando il lavorio continuo che risiede in loro, il perenne correggere la rotta come piloti di una barca sul mare in tempesta.

Si adattano alla vita, questo fanno, e lo fanno con saggezza antica, che sono su questa astronave cosmica da molto più tempo di noi. Sono spiriti antichi che si tramandano la storia del mondo da molto prima che nella mente di un qualsiasi dio si affacciasse l’idea dell’uomo.

Essi conoscono la direzione, noi siamo smarriti, perché non vogliamo radici. Schifiamo quello che non si vede, pensiamo di poter raggiungere la luce senza conoscere l’importanza dell’ombra. Ci accalchiamo, sgomitiamo, prevarichiamo per arrivare per primi al cielo, pensando di poter fare a meno di quello che ci tiene e sostiene, e continuiamo la nostra perenne lotta separati dal resto del mondo.

Separati ci saremmo estinti da milioni di anni. Nonostante i tronchi e “la timidezza delle chiome” *, nel profondo, nel luogo oscuro e brulicante dove la religione è l’alchimia, essi comunicano, parlano come fanno le nostre cellule nervose con impulsi elettro-chimici. Forse un giorno scopriremo che in questo tipo di comunicazione risiede il segreto della telepatia. Dell’empatia sicuramente.

Come nel nostro sistema nervoso centrale, quando una propaggine, aerea o sotterranea diventa di ostacolo alla sopravvivenza, al fluire dell’esistenza, alla trasmissione fluente delle informazioni, alla libertà d’espressione del prossimo, essi mettono in atto l’apoptosi *.

Questa pratica non è mai un approssimare per difetto, ma una pratica igiene necessaria ad un sano accrescimento, ad una evoluzione singolare e plurale, che proietta l’intera specie nel futuro.

 

*La timidezza delle chiome è un comportamento che solo alcune piante assumono. Esso consiste nello sviluppo di una volta arborea in cui le chiome dei diversi alberi non si toccano, andando a comporre quello che dall’alto è descrivibile come un mosaico. Questo fenomeno, seppur ben documentato, manca tuttavia di una spiegazione definitiva. (fonte www.biopills.net )

* Il termine apoptosi, che etimologicamente significa caduta delle foglie o dei petali di un fiore, è stato coniato dai ricercatori che hanno descritto in termini istologici la massiccia perdita di cellule che si verifica, per esempio, nel corso dello sviluppo del cervello attraverso l’eliminazione di tutte le cellule nervose inutili. ()L’a. è anche conosciuta come ‘suicidio cellulare’, poiché il processo di morte delle cellule che ne sono colpite non è semplicemente dovuto, come nel caso della necrosi, all’azione di una sostanza chimica tossica o ad altro evento traumatico di diversa natura, ma è la conseguenza di un processo che la stessa cellula attiva al proprio interno, quando le sue funzioni fisiologiche non possono più essere espletate. (fonte Dizionario medico Treccani).